Sechenenza, un mercato e l’origine delle parole napoletane
- At Dicembre 11, 2012
- By Zia Lucy
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Mi sono sempre piaciuti i napoletani per il loro lifestyle, ma la cosa più interessante è sicuramente il loro dialetto.
Definita una “mini lingua” romanza, il dialetto napoletano ha preso alcuni prestiti da varie parti del mondo. La storia ci narra di dominazioni spagnole e francesi e possiamo notare che alcune parole, o parte della grammatica, sono strettamente relazionate alle lingue dei “nostri cugini”. Ad esempio, la parola “Cucchiàra” (mestolo) deriva dalla spagnola “cuchara”, oppure “Tirabbusciò” dal francese “tire-bouchon”.
Altro esempio potrebbe essere “Tamarro” (si dice di persona rozza), dall’arabo “al-tamar”, probabilmente un mercante di datteri (tamar) non molto educato che si trovava a Napoli.
Resterete sorpresi su ciò che accadde durante la Seconda Guerra Mondiale. Quando soldati Inglesi e Statunitensi ci vennero in aiuto cercammo di comunicare con loro: molte persone non conoscevano l’inglese, essi tentarono di capire e farsi capire. Il contatto con “gli alleati” ha creato un’evoluzione socio-culturale ed alcune parole straniere sono state adottate dai napoletani. Una di queste è “sechenenza”: oggigiorno essa significa “qualcosa scadente” ma circa 60 anni fa era utilizzata per descrivere “qualcosa usato per la seconda volta”, non necessariamente di bassa qualità e questa parola, strana e difficile da pronunciare, è in realtà una rielaborazione dell’americano “second hand” (di seconda mano).
Qualche settimana fa ho incontrato alcuni amici, l’Associazione Divino Cibo, che stavano programmando l’apertura di un mercatino delle pulci durante il periodo natalizio. Mentre cercavano di trovare un nome adatto qualcuno ha proposto “sechenenza” e subito tutti ne sono stati entusiasti.
Il 14, 15 e 16 Dicembre 2012 nel salone dell’Hotel Villa delle Palme avrà luogo il mercatino Sechenenza.
Sarò lì per qualche ora, con storie da raccontare e qualche fotografia di orchidee locali.
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